TETSUJI MURAKAMI SENSEI
TETSUJI MURAKAMI SENSEI
(1927- 1987)
Il Maestro Murakami nasce a Shizuoka nel 1927 e, dopo aver praticato Kendo obbligatorio nelle scuole, inizia la pratica del Karate (stile Shotokan) nel 1946.
Nel 1957, su invito del Sig. Plée, si reca in Francia per diffondervi il Karate e vi si stabilisce.
In seguito gli insegnamenti del M° Murakami si diffondono in altri Paesi, in particolare in Italia, Yugoslavia, Portogallo, Svizzera e Algeria.
Nel 1968, durante un soggiorno in Giappone, conosce il Maestro Shigeru Egami e rimane affascinato dallo stile di cui quest’ultimo è il caposcuola: lo Shotokai.
Disse a tal proposito: «...Sentivo che i miei allievi arrivati ad un certo punto non progredivano più mentre nello Shotokai trovavo...qualcosa di più.
La mia conversione fu molto difficile...era una grande responsabilità nei confronti dei miei allievi...».
Passato allo Shotokai, il M° Murakami ne diviene in breve tempo responsabile per l’Europa su incarico dello stesso M° Egami. Per oltre un ventennio egli continua la sua opera di diffusione in Europa con costanza e dedizione.
A causa di un male incurabile il Maestro muore a Parigi, sua città d’adozione, il 24 gennaio 1987.
Un articolo del Maestro Tetsuji Murakami
Traduzione dalla rivista SHOTO n. 6 del dicembre 1987 stampata in Francia dall’Association Murakami Kai.
Per sua natura, l’uomo ricerca continuamente il progresso e questo è un aspetto della sua forza poiché senza progresso non potrebbe mai migliorare la propria condizione. Ma la debolezza dell’uomo risiede in parte nel desiderio di trovare del nuovo ad ogni costo. E’ abbagliato da tutto ciò che è nuovo, tutto ciò che brilla.
A causa di questo carattere superficiale, l’uomo si allontana di giorno in giorno dallo scopo ricercato, senza accorgersi dei propri errori.
Bisogna, in ogni istante, considerare con obiettività, ritornare alla sorgente delle cose, non per immobilizzarsi o contemplarsi, ma per progredire senza possibili errori.
I più grandi Maestri moderni (Ueshiba, Kano, Funakoshi...) hanno rinnovato le Arti Marziali mantenendo vivo il loro senso fondamentale. E’ per questa ragione che vogliamo basare il nostro lavoro, il nostro sforzo, le nostre ricerche sull’aspetto tradizionale del Karate al fine di farlo sbocciare a contatto con la vita odierna.
Il Karate è il Budo
Molta gente affronta superficialmente il problema e classifica i praticanti di Karate in due categorie: gli sportivi e i mistici.
Per loro, solo gli sportivi ricercano l’efficacia, gli altri praticano il Karate come gente che va in Chiesa.
Questa concezione semplicistica è completamente errata perché ignora il vero senso del Budo.
Il Samurai dei tempi antichi viveva in un pericolo permanente. Per lui, possedere una certa forza e una certa tecnica non era che un punto di partenza, non era sufficiente. La sua vita era un combattimento continuo, che prendesse il té o camminasse in un vicolo, doveva essere pronto a difendere la propria vita, a vincere uno o più avversari. Era fuori questione per lui considerare la pratica delle Arti Marziali come un allenamento sportivo, il combattimento come una competizione con arbitro e pubblico. Il Samurai doveva raggiungere l’efficacia al di là di ogni tecnica.
E’ per questo che coltivava essenzialmente il suo istinto, il suo sesto senso.
Miyamoto Musashi, il celebre Samurai del diciassettesimo secolo, è morto nel suo letto dopo aver disputato una sessantina di combattimenti.
Si racconta che fosse capace di giudicare il valore di un avversario dal modo in cui camminava o prendeva il tè.
Alla ricerca dell’efficacia
Sviluppare un sesto senso, conoscere l’avversario non sono cose facili da acquisire. Nel Karate non si può raggiungere lo spirito senza passre attraverso il corpo, vincere l’avversario senza vincere se stessi.
Bisogna vincere se stessi, il corpo e i sentimenti. Prima il corpo: bisogna "romperlo", annullarlo, togliergli ogni resistenza per poi modellarlo, formarlo.
Un allenamento estremamente duro è necessario.
Bisogna evitare la facilità, ricercare la difficoltà, andare al di là dei propri limiti. Sarà allora che riusciremo a comprendere noi stessi e che i nostri sentimenti appariranno (odio, violenza, pigrizia, impazienza...).
Vincerli sarà allora estremamente facile. Attraverso lo sforzo arriveremo ad una conoscenza approfondita di noi stessi, poi all’armonia con l’universo, poi al silenzio.
In questo silenzio percepiremo l’avversario, la sua presenza , il suo corpo, la sua respirazione, le sue intenzioni.
Questo avversario cercherà di rompere la nostra armonia.
Un solo istante passerà tra la sua decisione e il suo movimento. In quell’intervallo di tempo, per minimo che sia, noi agiremo . . . agiremo prima di lui.
Nel Budo il combattimento comincia al momento in cui percepiamo la presenza aggressiva dell’avversario e termina all’inizio del suo movimento.
In un vero combattimento di Budo ci sono pochissimi movimenti. . . l’uomo veramente superiore deve essere capace di donare la Pace.
La Via attraverso il Karate
E’ certamente interessante praticare il Karate come uno sport, ma lo sarà forse di più se cercheremo di andare più lontano, di ricercare un’efficacia ancora più grande, che ci permetta in questa ricerca di conoscerci e di lottare contro i nostri difetti, di comprendere gli altri e di amarli, di raggiungere un’unità interiore e di proiettarla verso l’universo esteriore e, forse, di contribuire a nostro modo alla Pace e alla Vita.
Tetsuji Murakami
Intervista al Maestro Murakami
Tratto da "Bulletin du Murakami Kai" - 1988 - traduzione: Claudio Vacchi
Sono nato il 31 marzo 1927 a Shizuoka (250 Km. da Tokyio).
Ho cominciato la pratica del Karate nel 1947 con il Maestro Masaji Yamaguchi che praticava lo Shotokan. Ho praticato anche Kendo, Aikido e un po' di Iai. Nel novembre del 1957 sono arrivato in Francia. A partire dal 1959 ho cominciato a tenere corsi all'estero. All'inizio in Germania, in Inghilterra e in Italia. Un po' più tardi sono andato in Jugoslavia, Svizzera e Portogallo. Ho tenuto in seguito il mio primo stage in Marocco ed in Algeria. Nella provincia giapponese, prima della seconda guerra mondiale e subito dopo i club di Karate erano chiusi. Il Karate costituiva ancora qualche cosa di molto mistico-religioso. Molte leggende circolavano sul suo conto e soprattutto sulla sua efficacia nel combattimento. Io ho voluto sapere che cos'era realmente e sono andato nel club della mia città. Siccome abitavo lontano da Tokyo non ho mai praticato con il Maestro Funaskoshi. Ho avuto due maestri. Il primo quando ero in Giappone e prima di andare in Francia. Si tratta del Maestro Masaji Yamaguchi che dirigeva il solo club che in quel periodo esisteva a Shizuoka. Il secondo l'ho incontrato al mio ritorno in Giappone dopo 10 anni trascorsi in Europa. Si tratta del Maestro Shigeru Egami che mi ha fatto scoprire lo Shotokai e che ho seguito dopo questa data. Il nuovo metodo di allenamento che pratico attualmente è il NIPPON KARATE-DO SHOTOKAI. Non è, in fin dei conti, che lo sviluppo del Karate praticato nello Shotokan. Lo Shotokan era il dojo del Maestro Funakoshi chiamato anche Hombu Dojo (dojo centrale). Ora è la sede dell'organizzazione Shotokai che è stata creata dal Maestro Funakoshi. Io non considero dunque il nostro metodo attuale come nient'altro che l'insegnamento del Maestro Funakoshi. Il Maestro Egami ha scritto: "Seguire la via tracciata dal nostro grande Maestro Funakoshi è certo difficile, ma cercare di andare oltre lo è molto di più". Dopo aver soggiornato una decina d'anni in Francia sono tornato due mesi in Giappone e mi ricordo ancora bene oggi quale fu la mia sorpresa e il colpo di fulmine che ho percepito davanti al nuovo metodo di insegnamento che stava sviluppando il Maestro Egami. Sono stato subito intimamente convinto che esistesse in questo Karate tutto quello che avevo vagamente cercato e che ricercavo ancora. Forte di questa convinzione iniziai poco alla volta questo nuovo metodo. Dopo la morte del Maestro Egami nel 1981 il Maestro Hironishi, suo amico da quando si allenavano insieme all'Università, continua ad occuparsi dello Shotokai. Gi&agrve; dopo la guerra tutti e due erano responsabili dell'organizzazione Shotokai assieme al Maestro Funakoshi. Nel 1957, alla morte di Funakoshi, tutti e due sono succeduti nella direzione dell'organizzazione Shotokai. Il Maestro Hironishi in qualità di Presidente si occupava soprattutto della parte amministrativa, mentre il Maestro Egami con il titolo di istruttore capo era il responsabile tecnico e il vero capo spirituale. Vista la grandezza del Maestro Egami al momento non ci sono suoi successori ma diversi dei suoi anziani assistenti continuano l'insegnamento e l'organizzazione Shotokai continua la sua attività sotto la Presidenza del Maestro Hironishi. Io sono il delegato dello Shotokai in Europa, ufficialmente nominato dall'organizzazione Shotokai del Giappone; riconosciuto come solo rappresentante Shotokai dalle Federazioni nazionali francesi, italiane e portoghesi di Karate. Data la mia età è importante per me curare il rilassamento del corpo. Dunque quasi tutti i giorni faccio degli scioglimenti al dojo e a casa. Certo mi capita abbastanza spesso di lavorare anche con i miei allievi e faccio normalmente del Seiza a casa mia (delle sedute di circa un'ora di seiza). Non nego la mia voglia di praticare Zen in futuro, ma fino ad ora non ho mai praticato né lo Zen né il Tai Chi Chuan. Ci si può domandare se a partire dallo sviluppo rapido del Karate dopo la seconda guerra mondiale qualche elemento preciso non sia stato dimenticato. Poichè se il Karate ha raggiunto un alto livello, grazie agli sforzi continui dei numerosi maestri del passato, non è detto che non debba apprendere qualche cosa anche dalle altre tradizioni. Ciò che può mancare al Karate non esiste altrove. Tutto è dentro al Karate. Ciascuno deve avere questa nozione in mente e deve cercare di svilupparla. Esiste in Giappone un'espressione che si può tradurre così: "Attitudine, disposizione dell'anima e dello spirito". Noi tutti dobbiamo, intendo noi che crediamo nel Karate-do, riflettere su questa disposizione dell'anima e dello spirito con la quale ci impegnamo nel Karate. Dipende dal nostro cuore, dalla nostra attitudine faccia a faccia col Karate. Ciò che si chiama Zen ci aiuta a trattare i nostri problemi spirituali. Non può recare qualche cosa che ai praticanti arrivati a un grande livello tecnico ed ancora in condizione di praticarlo seriamente. Quanto agli altri esso non realizza quello che si aspettano con la pratica dello Zen. Avanzando nella pratica del Karate trascurano il loro allenamento. Da un metodo generale, i criteri di cui tengo conto per dare un giudizio sui karateka sono: il RITMO (per esempio il rispetto della differenza tra i passaggi lenti e i passaggi veloci in certi Kata); la SCIOLTEZZA. Intendo per scioltezza elasticità del corpo, cioè la differenza tra la contrazione e la decontrazione; l'ENERGIA. Si deve sentire l'energia in tutte le tecniche, tanto nell'attacco quanto nella difesa. Questi criteri sono applicati in tre forme di lavoro: il KIHON, il KUMITE e il KATA. Certamente la nuova tecnica richiesta per l'oi-tsuki di un primo Dan non sarà la stessa di quella che si esigerà da un terzo Dan. Ma spiegarlo con le parole non è facile. Riassumendo: Un primo Dan deve aver appreso tutte le tecniche elementari del Karate. Egli dovrà essere capace non solo di applicarle ma anche di insegnarle. Questo necessita di almeno quattro anni di pratica. un secondo o terzo Dan deve essere capace di eseguire correttamente gli esercizi più complicati. Deve inoltre essere capace di adattare le tecniche ai cambiamenti di situazione. Ciò che gli compete inoltre è di cogliere una sorta di punti in comune dalle differenti tecniche di forma di ciascuna scuola. D'altronde si può, qualunque sia lo stile, vedere il livello di maturità raggiunta dai praticanti. Ad ogni modo non si è mai troppo attenti durante gli esami dei praticanti che non appartengono al proprio stile. In generale, il corpo è troppo rigido e le tecniche troppo limitate. Per la gara si ha inevitabilmente la tendenza ad accorciare le tecniche e il movimento del corpo. Vi consiglio quindi di provare, al momento dell'allenamento, di effettuare dei movimenti più ampi possibili. Dovete anche imparare a comportarvi nella maniera più naturale possibile qualunque sia la situazione nella quale vi trovate. I muscoli devono essere utilizzati per praticare degli attacchi e delle difese potenti. I muscoli non sono fatti per essere contratti o tesi. Allenatevi allo scopo di praticare le tecniche più potenti possibili partendo da movimenti più ampi. Dovete riflettere su quello che fate. Potrete così comprendere e scoprire voi stessi ed il perchè delle tecniche. Se vi chiedo di non essere tesi quando lavorate c'è una ragione. Interrogatevi su tutti questi punti senza mai perdere di vista che solo una lunga sperimentazione permette una buona comprensione. D'altra parte il Kihon e il Kumite sono diventati troppo meccanici. Nel lavoro a due (esempio ippon kumite) importante è la concentrazione. Solo questa vi permette di trovare l'armonia col vostro partner. Non soffermatevi troppo all'apparenza esteriore. Provate piuttosto ad armonizzarvi col movimento interiore del Vostro partner. Comincerete allora a capire l'essenza stessa del Karate. Importante è il carattere educativo del Karate. L'evoluzione tecnica deve andare di pari passo con l'evoluzione della personalità altrimenti c'è il rischio di squilibrio. D'altronde ci sarà un momento in cui l'evoluzione tecnica non sarà più possibile se non ci sarà nello stesso tempo un'evoluzione umana. Perciò si può dire che la pratica del Karate non si ferma alla soglia del dojo. Sicuramente l'allenamento è importante, ma il vostro modo di vivere, che sia in famiglia o nella società, gioca anche un grande ruolo nella vostra evoluzione personale. In questa ottica, l'obiettivo del Karate è di aiutarvi a diventare un uomo degno di questo nome e capace in tutte le circostanze di pensare ed agire correttamente.
Scritto del Maestro Tetsuji Murakami:
«Nel Karate non si può raggiungere lo spirito senza passare attraverso il corpo, vincere l'avversario senza vincere se stessi...
...attraverso la nostra ricerca arriveremo ad una conoscenza approfondita di noi stessi, poi all'armrcepiremo l'avversario, la sua presenza, il suo corpo, la sua respirazione, le sue intenzioni.
Questo avversario cercherà di rompere la nostra armonia.
Un solo istante passerà tra la sua decisione e il suo movimento.
In quell'intervallo di tempo, per minimo che sia, noi agiremo.
Nel Budo il combattimento comincia al momento in cui percepiamo la presenza aggressiva dell'avversario e termina all'inizio del suo movimento.
In un vero combattimento di Budo ci sono pochissimi movimenti.
L'uomo superiore deve essere in grado di donare la pace».


